Il tema de “La madre” è una sorta di manifesto femminile che andrebbe letto in una carta dei diritti delle donne, quando queste diventano madri.
La maternità è tema diffuso nei testi teatrali, così come è diffuso il tema di una mancata rinuncia alla maternità, allo strappo del distacco dai figli, doloroso e irrisolvibile, se la donna in questione non ha praticato un lavoro su se stessa e sulla “costruzione” di “altre vie” oltre a quella della maternità.
Nulla di nuovo, se non fosse che il testo di Zeller ne indaga tutte le derive patologiche. Anna, la protagonista, interpretata da Lunetta Savino, è incatenata a tal punto nel suo ruolo di madre e di moglie tradita, ma che ha tradito anch’essa attraverso il suo insano amore per il figlio, sa sdoppiarsi in scena, in vari piani narrativi, che riproducono il racconto in una serie di realtà costantemente alternate.
Un successo, venerdì scorso, al Duemila di Ragusa, l’ultimo appuntamento della fortunata stagione di Teatro in primo piano. Anche per questa rappresentazione è stata registrata una consistente partecipazione di pubblico.
Il regista Marcello Cotugno ha voluto proporre una recitazione spesso alienante, come se nel dramma psicologico della donna cadessero uno alla volta tutti i protagonisti.
Il marito, interpretato da Andrea Renzi, il traditore, a volte profondamente solo, a tratti disilluso, sempre incatenato nei ricatti morali di una moglie che palesemente non lo ama più, seppure lo abbia mai amato. Il figlio, un giovane e virtuoso Niccolò Ferrero, che non ha soluzioni contro una madre che lo ama troppo, se non la fuga, o l’omicidio (e non solo metaforico).
La fidanzata del figlio, interpretata da Chiarastella Sorrentino, il mostro che allontana il bene amato da Anna e che per un gioco di ruoli assume le vesti anche dell’amante del marito. Anna tiene “la matassa” di questo gioco psicologico, e la tiene sul serio, un gomitolo di cotone rosso si arrotola e si srotola sul palco. Anna è colei che tesse la tela di una donna disperata, di un dolore da lei stesso costruito privandosi la possibilità di vedere oltre il suo essere madre.
Lunetta Savino propone una recitazione asciutta, ripete, si ripete, diventa ossessiva e sembra si faccia fare tutto, seppure abbia condotto il gioco della sua follia. In questo l’attrice è stata profondamente capace, delinea un ruolo senza forzature recitative, straniante e proprio per questo probabilmente più immerso in un disagio psicotico.
Una menzione va alla scenografia di Luigi Ferrigno, profondamente riuscita e parte integrante dello spettacolo.
Cinque porte, un frigorifero, tre sedie e un tavolo, sembrerebbe poco, se non fosse che ognuno degli oggetti citati, insieme ad altri artifici scenici, concorrono a costruire la potenza dell’ossessione. Il gioco di specchi, le sedie, occupate sempre a due, lasciando la “sedia vuota” (chissà se è una citazione gestaltica?), il frigorifero che ruota intorno alla scenografia, glaciale e assordante allo stesso tempo, gli abiti indossati dalle due/tre donne, tutti uguali, seppure con differenti scollature e dimensioni; come a dire che Anna è stata, prima di essere madre, amante, fidanzata e tutto quello che ora non si permette di essere più.
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