“A proposito di regime retributivo e sfruttamento in agricoltura”. Questo l’incipit della nota inviata da Salvatore Terranova, Segretario generale della Flai Cgil Ragusa e Tonino Russo, Segretario Generale della Flai Cgil Sicilia.
“Ciò che viene, con cadenza quasi regolare, alla ribalta della cronaca, – sottolineano Terranova e Russo – cioè gli interventi delle forze dell’ordine che operano arresti contro imprenditori agricoli che sfruttano i propri braccianti, non solo stranieri, dovrebbe darci, ancora una volta, l’occasione per riflettere, tutti.
In molteplici momenti abbiamo posto all’attenzione pubblica il modello retributivo che vige, da troppo tempo, nel nostro territorio, che ha fatto strame di norme e contratti. Oggi è l’imprenditore agricolo ad imporre l’entità del salario dei braccianti, sia italiani che stranieri.
Un modello che si basa sul salario di piazza, lontano ed esterno a quello che dovrebbe essere, in ragione dell’ordinamento salariale vigente, previsto dalla contrattazione. Questo grave fatto emerge inequivocabilmente dal nostro tessuto produttivo agricolo, dove il bracciante, proprio per la retribuzione oltremodo bassa che riceve, si confronta con una condizione che è di “sfruttamento lavorativo”, diventata una sorta di ineliminabile ed inveterata infrastruttura del mercato del lavoro agricolo.
Tale fatto ci pone davanti ad una scelta: ciò che accade in agricoltura è una condizione secondaria e fisiologicamente accettabile o invece è un fatto che richiama, per la sua gravità, alla responsabilità tutti? Essere pagato a 4,5 euro l’ora nelle serre o nei magazzini o nelle aziende di trasformazione dei prodotti agricoli, impiegati per almeno 10/12 ore al giorno, configura si o no una cesura dei diritti e della dignità dei lavoratori, stranieri e non? Questo fatto non estende le responsabilità, oltre che alle aziende, a tutti noi? Per noi, si!
Sembra quasi di essere di fronte ad un intollerabile regime organizzativo, – proseguono Terranova e Russo – riscontrabile in gran parte delle aziende, sulla cui base sia stata costruita una cinica e lucida operazione di compressione del costo del lavoro, che si sostanzia, ovviamente, quale profitto per le aziende.
Di questo inespugnabile moloch di sotto-salario ne hanno consapevolezza tutti, ma non si riesce ad esorcizzarlo né a smontarlo. Basterebbe analizzare le buste- paga dei braccianti per capire quanto non sia veritiero che un operaio agricolo lavori solo 10/12 giorni al mese.
La soluzione a questo sistema indecente e disumanizzante non può essere solo la forza della repressione che serve ed è indispensabile nei casi più gravi; va introdotto, a nostro avviso – un meccanismo pubblico-istituzionale che, con la sinergia delle rappresentanze sindacali, riesca a fare emergere la sotterranea montagna di sotto-paga e di sfruttamento che alimenta illecitamente il mondo agricolo, con il coinvolgimento attivo delle aziende, le quali dovranno assumersi l’impegno pubblico di riconoscersi fuori contratto, sostenendo la necessitante operazione di ripristino collettivo di una ossatura produttiva, che in questa fase viene identificata come un problema e non come punto di forza.
Qui un ruolo principale non può che essere svolto da una o più istituzioni pubbliche (Prefettura, enti locali o altro ente), le quali, in sinergia, possano operare una sorta di pubblica convocazione delle aziende (delle quali è facile individuare la non rispondenza salariale alle norme), aprendo un momento pubblico di confronto teso a riportare nella piena liceità la struttura salariale. Ciò rende imprescindibile l’attivazione di un percorso pubblico che operi civilmente il risanamento di una ferita che non tocca soltanto la dignità del lavoratore, ma anche la storia, l’ethos e la civiltà di un territorio. Che merita di più: una rinascita civile e culturale, oltre che produttiva, è l’approdo di cui ha più necessità.
Insisteremo nei prossimi giorni su questa vicenda affinché questa nostra modesta idea possa essere meglio rappresentata nei luoghi appositamente deputati, – concludono Terranova e Russo- perché ci siamo persuasi sempre di più che un approccio di natura civile possa condurre a buoni risultati”.
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